La prima puntata della mia newsletter ‘Parlo spesso di bici’ – 1 febbraio 2021

MI piacciono le coincidenze, le osservo e in qualche modo ne accolgo i messaggi. Negli ultimi giorni, di coincidenze me ne sono capitate parecchie, un po’ in diversi ambiti. E questa newsletter non ha fatto eccezione.

Quando ho iniziato ad abbozzare il testo, qualche giorno fa, avevo scritto che non avrei parlato solo di bici e non avrei parlato male delle auto. Insomma, nessuna opera di convincimento da queste parti. Anche perché se siete qui in qualche modo già siete sensibili a molte cose che racconto. 

Poi però è successa una cosa che ha cambiato un po’ i piani e mi sono detta, no, anche se è la prima – e diciamolo, anche la più difficile – non può fare a meno di approfondimenti. Ci sarà tempo per aggiustare il tiro e per aggiungere un po’ in leggerezza strada facendo.

Costruire un’alternativa 

Omar Di Felice è un winter ultra cyclist, che molti di voi conoscono e seguono. Una persona che stimo, un professionista che fa di quelle imprese pedalando a temperature bassissime e per moltissimi chilometri. Spesso, sui suoi seguitissimi canali, ha parlato di sicurezza stradale e di rispetto in strada, anche perché con i suoi 35mila km l’anno in bici un po’ di cose ne ha vissute.

Un paio di giorni fa ha annunciato un suo nuovo sponsor: una casa automobilistica, con tanto di foto accanto a un SUV, che “vuole impegnarsi per la sicurezza sulle strade”.

Ecco lo strapotere dell’automotive.

Di tutta questa storia, Omar non è il fulcro. E non mi interessa giudicare la sua personale scelta, che non condivido, ma non giudico, anche perché chi di noi è “puro”? Io no di certo. 

Ma vorrei cogliere l’occasione per allenarci alla consapevolezza e chiederci: possono i cambiamenti culturali avvenire con i compromessi? Come possiamo costruire un’alternativa all’auto? Possiamo fare a meno dei soldi dell’automotive per i giornali, per lo sport, per la tv e che altro? E ancora, se ci indigniamo così tanto per un ciclista sportivo che accetta sponsorizzazioni da una casa automobilistica e magari smettiamo di conseguenza di seguire le sue imprese, lo facciamo anche quando le nostre amministrazioni concedono le aree pedonali per gli stand di esposizione di auto? O quando concedono concessioni per centri commerciali con mega parcheggio ben lontani dall’essere luoghi per le persone? E infine, ma ben più importante, che cosa facciamo quando si permette di arrivare con l’auto a un metro dall’ingresso delle scuole, dopo aver fatto mediamente 2 km di tragitto, con rischi per la salute e la sicurezza dei bambini?

Mentre ci riflettevo, leggendo il fiume di commenti dai toni a tratti aggressivi, non ho potuto non pensare ad Andrea Coccia, autore di “Contro l’automobile” un pamphlet di 80 pagine che consiglio caldamente di leggere (qui trovate anche una diretta che avevamo fatto mesi fa con Bike Pride per l’uscita del libro). Oggi ci siamo fatti una chiacchierata (grazie Andrea).

Non abbiamo ancora preso coscienza del problema. – mi ha detto – Fin quando non capiremo che non è usando l’auto di meno, ma smettendo di usarla, che costruiremo un’alternativa, resteremo legati ad uno strumento che crea dipendenza, che è classista, che mette al centro l’egoismo e l’individualismo, invece dell’altruismo. Si chiama “Realismo automobilista”, e ne parlo su Slow News, ovvero di quella realtà finta, che ci è stata inculcata attraverso decenni di comunicazione, marketing e politica finanziati dall’intero comparto a suon di miliardi di euro. Per uscirne non possiamo accettare il compromesso, il meno peggio, perché questo non farà che danneggiare ancora di più le fasce deboli del mondo, chi abita in periferia, chi un’auto sempre più costosa non potrà permettersela e chi senza un cambiamento strutturale non potrà farne a meno”.

Lo so, starete pensando: “Non possiamo essere radicali”; “Non possiamo fare a meno dell’auto”; “L’auto la uso poco ma ogni tanto mi serve”. E invece dobbiamo cercare di esserlo, radicali, nella visione.

Perché le nostre città sono piene di lamiera, con tutto quello che ne consegue, e continueranno ad esserlo a danno della nostra salute se non facciamo tutte le nostre scelte in un’unica direzione: eliminare le auto, per restituire le città alle persone, attraverso la riduzione della velocità, offrendo alternative di trasporto pubblico, mettendo al centro la salute della collettività e non l’individualismo. E non è fantascienza, è quello che si sta già facendo nel resto d’Europa.

Questa deve essere la visione.