Ritorno su un tema su cui ho scritto qua e là di recente, su cui ho anche lavorato con un’amministrazione comunale e su cui tornerò nuovamente. Ed è l’importanza della narrazione e della comunicazione della ciclabilità, ossia di come un’amministrazione possa accompagnare i progetti di costruzione di infrastrutture ciclabili e la trasformazione della città per renderla più a misura di persona e di chi la bicicletta la sceglie per muoversi e per vivere i luoghi.
Negli ultimi anni, questa comunicazione e narrazione è stata fatta molto poco. Almeno dove vivo, a Torino.

Per immaginarci come avviene mediamente ora, facciamo un gioco. Immaginiamo di svegliarci un mattino e di trovarci il bagno inutilizzabile perché occupato da un cantiere, senza sapere cosa stia succedendo e come diventerà dopo. Magari non eravamo esattamente consapevoli dei problemi del nostro bagno prima e delle migliori funzionalità di un bagno nuovo (che forse stava allagando il piano di sotto). Ma non lo capiamo e ci arrabbiamo.

Le strade della città sono un po’ come il bagno del mio esempio. Se le trasformazioni non vengono accompagnate, raccontate e soprattutto preparate con una comunicazione adeguata, facendo vedere come potrà essere e come sarà meglio dopo, le polemiche e la sensazione di spaesamento inevitabili saranno molto più aggressive. Le critiche e qualche malcontento ci sono sempre, ma se si spiega il contesto, il progetto entro il quale quel cambiamento si inserisce e il beneficio per la collettività qualche consenso in più si può ottenere, non per tutti. Ma qualcuno sì e magari tra i giornali.

Se le polemiche diventano troppo forti o troppo rumorose, il rischio è una marcia indietro rispetto all’intervento.

Questa dinamica ha un nome ed è ‘bikelash’, ossia la forte contrapposizione di poche persone al progetto di una ciclabile, che però, gridando un po’ più forte, ottengono dai media in cerca di polemiche più visibilità di quelle tante altre voci silenziose a favore o semplicemente indifferenti al progetto. 

Il meccanismo è questo: 1) nuovo cantiere di costruzione della ciclabile, in uno dei posti in cui pedalare prima era un po’ come essere un gatto in tangenziale, per rendere l’idea e dove lo spazio che verrà occupato dalla ciclabile era quello della doppia fila. 2) Alcuni cittadini si lamentano, come prevedibile. 3) A questi viene dato ampio spazio mediatico, raccolta firme di numeri ridicoli e non rappresentativi neanche di un palazzo. 4) Scarsa analisi mediatica del contesto, della visione e del progetto più ampio di modifica della mobilità cittadina a beneficio della collettività e della qualità dell’aria. 5) Tentativo di far sabotare il progetto e aumentare il conflitto in strada. 

I rischi di questa dinamica sono di polarizzare le posizioni, non dare e non creare un aperto dialogo per offrire le giuste spiegazioni a chi protesta o semplicemente si chiede che cosa succederà (come prevedibile). 

Le ciclabili sono progettate, non si decidono da un giorno all’altro e sono – o dovrebbero essere in teoria – inserite in un piano ben più ampio che ha l’obiettivo di ridurre l’uso dell’auto per gli spostamenti brevi e superflui e facilitare e rendere sicura la mobilità di chi già sceglie la bici. 

Come si fa a prevenire queste polemiche?
Beh pensare che tutti siano d’accordo è impossibile. Ma con una narrazione positiva che accompagni la trasformazione, prima, durante e dopo, che spieghi cosa si sta facendo e perché e che aiuti a visualizzare come quella strada, quella piazza o quel quartiere diventeranno e soprattutto i benefici in termini di salute, indubbiamente aiutano. Pensiamo per esempio all’urbanismo tattico e al ruolo delle sperimentazioni nell’avvicinare a modi diversi di vivere gli spazi pubblici. Ma anche al mostrare i numeri, come con i contabici permettono di vedere anche le ricadute. 
A Torino, i passaggi, in crescita, su alcune delle ultime ciclabili si possono vedere qui.

[Sulle sperimentazioni dal basso, da leggere è Matteo Dondé, che per primo ha portato in Italia il metodo delle sperimentazioni dal basso di zone 30. Qui l’esperienza Trentami]

E visto che oltre alla teoria mi piace la pratica, con Fiab Bike Pride abbiamo iniziato una nuova narrazione della città con “Torino è”, per rispondere (e nel nostro piccolo) prevenire le polemiche sulle ciclabili.
”Qui non servono”, “creano solo ingorghi” “Qui non siamo mica a Copenaghen”, frasi già sentite vero? Ecco, no Torino non è Copenaghen ma lentamente può divetare una città più accogliente. E il primo video che abbiamo realizzato, che potete vedere qui sui social o su Youtube, e il primo appuntamento di domani mercoledì 2 marzo in Largo Tirreno, per incontrarsi e far vivere i luoghi, confidiamo possa contribuire a far conoscere nuove infrastrutture, viverle e “farsi vedere” nei quartieri. Tutte le info qui.

Grazie Lorenzo Attardo, Stefano Druetta, Ammj Traoré, Gabriele Del Carlo e Diego Vezza per aver accolto l’idea e aver messo a disposizione creatività e competenze.